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lunedì 20 aprile 2009

Osservo spesso le persone handicappate, perché vivono una dimensione della vita a me sconosciuta. Si potrebbe aggiungere "grazie a Dio", certamente. Ma non è la prima cosa che mi viene in mente quando vedo, ad esempio, alcune persone cieche, oppure altre costrette su una sedia a rotelle.
Mi sembra che alcune di queste persone percepiscano le cose ad un livello più profondo del normale, a me sconosciuto, e sappiano prendere la vita davvero per il verso giusto. Non tutti, si capisce, riescono nel difficile compito di accettare totalmente la loro esistenza e i loro limiti (come del resto accade anche a quelli tra noi che non hanno grosse limitazioni fisiche). Ma quando alcuni di loro ci riescono deve essere sicuramente un'esperienza talmente liberante, da far esplodere altre capacità che superano spesso quelle delle persone sane.
Un esempio di scintillante di autoironia, me lo hanno involontariamente fornito due persone cieche che lavorano presso l'Istituto in cui lavoro come consulente. I due, un uomo e una donna, sono entrambi ciechi. Spesso salgono al bar accompagnandosi vicendevolmente, per aiutarsi (non chiedetemi come possa un cieco aiutare un altro cieco, non ne ho idea).
Qualche giorno fa, il barista ha chiesto scherzosamente all'uomo se intendeva fidanzarsi con la donna.
"Che, mi hai preso per scemo? Vabbè che non ci vedo, ma che questa è una cozza l'ho capito anch'io, che ti credi?", ha fatto lui.
"Beh, se è per questo, non ti sei mai neanche visto in faccia!", ha risposto lei, per niente risentita.

domenica 9 marzo 2008

Non sembra anche a voi ...

Che nelle nostre città si vedono sempre meno spesso:
- ragazzi che parlano mentre passeggiano per strada
- ragazzini che giocano assieme
- donne incinte
?
Stanno forse scomparendo, cioè, i segni dell'amicizia, dell'amore e della speranza.
È davvero tutto dovuto alla crisi economica o, più in generale, agli altri, oppure la causa risiede all'interno di noi genitori, dei politici, dei sacerdoti e di tutti coloro che hanno una responsabilità più grande verso gli altri?
Riprendiamoci ciò che ci siamo fatti derubare. Dipende solo da noi!

martedì 26 febbraio 2008

Alcune parole...

più le pronunci, più le capisci.
Ad esempio quelle onomatopeiche: se dico gorgoglìo più volte di seguito, ottengo un suono che evoca il significato della parola stessa.
Oppure quelle meno comuni: se non mi sovviene subito il significato di una parola come contrafforte, può darsi che pronunciando questa parola più volte, riesca ad associarla all'architettura e a ricordare che si tratta di un sostegno utilizzato per certi tipi di costruzioni.
Ma esistono anche parole che più le pronunci, meno le capisci. Un esempio è la parola guerra.
Cioè, non è che non ne capisci il significato, ma non capisci proprio perché esistano.

venerdì 7 dicembre 2007

Le caste

La suddivisione in caste non è prerogativa di alcune culture orientali o del passato. La nostra società si sta sempre più differenziando in base a diritti acquisiti da parte di alcuni a discapito di altri.
Ormai, è stato ripetuto da molti, i politici godono di talmente tanti privilegi e si sono talmente allontanati dalla vita della gente comune da costituirne una tra le più potenti.
Ma non rappresentano l'unica categoria. Altre, sempre più potenti, si sono fatte avanti grazie soprattutto alla televisione e alla umana pessima abitudine di cercare idoli da osannare e imitare in ogni cosa che fanno. La casta dei calciatori e degli sportivi, quella delle comparse nei "reality show", dei presentatori e degli attori sono tutte venute fuori da quella stessa scatoletta magica e ipnotica a cui siamo talmente affezionati che cominciamo a dare segni di astinenza se impossibilitati ad accenderla per più di cinque giorni.
Non è preoccupante soltanto il crescere del numero di queste "caste", ma gli effetti collaterali di questo fenomeno: siamo ormai disposti ad accettare qualsiasi cosa venga fatta da questi "eletti".
Possono rubare, mostrarsi in pubblico e addirittura acquistare maggior fama dopo aver messo su una o più famiglie e averle mandate in aria una dopo l'altra, esibirsi in porcherie di qualsiasi tipo, eccetera. È ovvio: in fondo, il desiderio di autoaffermazione è una componente più o meno spiccata in tutti. Così, dal momento che qualcuno riesce ad ottenere praticamente tutto quello che vuole, anche se a dispetto delle leggi e dei diritti altrui, possiamo immaginare di essere al suo posto - magari con più generosità e meno sfrontatezza - e di essere finalmente liberi di goderci pienamente la vita.
Se avete letto altri articoli in cui si dicono più o meno queste stesse cose, a questo punto troverete quasi certamente frasi del tipo: "non è questione di essere moralisti, ma...", oppure "nessuno vuole imporre la propria volontà sugli altri, però...", quasi a giustificare le proprie convinzioni. Bene, non è il mio caso: credo che oggi come oggi, le persone che hanno il coraggio di andare controcorrente debbano solo sentirsi orgogliose di riuscirci o anche solo di tentare di farlo ogni giorno...

martedì 21 agosto 2007

Sacrificio, Sofferenza e Morte

Me ne rendo conto: ci vuole del coraggio per pubblicare un post con questo titolo.
Eppure le parole Sacrificio, Sofferenza e Morte, che sono state bandite dal nostro linguaggio, hanno pieno diritto di rimanervi, perché costituiscono una parte essenziale della nostra esperienza umana.
Ognuna di queste parole è stata aggredita da un'altra, che nella nostra cultura o nella nostra stupidità - dipende dai punti di vista - ha iniziato a dominarla, asservirla e, infine, ad eliminarla dal nostro vocabolario.
Il Sacrificio è stato eliminato dal Libertinismo.
La Sofferenza dall'Edonismo.
La Morte dall'Agnosticismo.
Naturalmente, sono state soppresse solo le parole, ma non l'esperienza di quello che significano; eppure viviamo spesso come se fossimo riusciti veramente ad escluderle dal nostro mondo.
Ma una civiltà senza queste esperienze, non sarebbe veramente umana. In altre parole, abbiamo bisogno di sacrificarci, di soffrire e anche di morire.
I motivi sono molto semplici:
Senza il sacrificio, nulla di ciò che facciamo ci darebbe soddisfazione.
Senza la sofferenza, non sapremmo apprezzare le cose belle della vita.
E senza la morte, beh... dopo qualche decina di migliaia di anni, saremmo davvero un po' troppi su questo pianeta, non vi pare?

lunedì 6 agosto 2007

CULTURA ED EDUCAZIONE.
C'è un nesso tra cultura ed educazione?
Intendo dire, è vero che più si conosce e più si è in grado di giudicare ed agire rispettando le regole del buon vivere civile? Non saprei con certezza. Quello che vedo non sembra confermare questa ipotesi. Stando alle statistiche, il numero di persone diplomate e laureate è di gran lunga maggiore di quello di 40 anni fa, ad esempio, ma ho l'impressione che non ci sia stato un corrispondente aumento di buona educazione, nello stesso periodo di tempo.
Se vi trovate d'accordo con questa considerazione, è possibile farne altre due: o la scuola italiana non eroga sufficiente cultura, o non esiste un nesso tra cultura ed educazione. Naturalmente, è anche possibile che siano vere entrambe le cose...

lunedì 16 luglio 2007

LAVORO

Ho spesso la sensazione che la mia idea sulle qualità di un bravo professionista sia spesso diversa, anche in maniera sostanziale, da quella che hanno molte persone con cui lavoro.

Ecco alcune di queste diverse interpretazioni:
COMPETENZA
secondo altri: cercare di dimostrare a quelli che lavorano con te che gli altri non sono capaci di fare quello che sai fare tu
secondo me: riconoscere e usare le proprie capacità, conoscenze e limiti per realizzare nel modo migliore il lavoro che sono stato incaricato di portare a termine

PROFESSIONALITA'
secondo altri: mostrarsi capace in qualsiasi situazione, senza mai dare a vedere che le tue conoscenze non sono sempre sufficienti
secondo me: gestire le situazioni lavorative complesse, attingendo alle proprie conoscenze e, laddove fossero insufficienti, chiedendo aiuto agli altri

CAPACITA' DI LEADERSHIP
secondo altri: terrorizzare gli altri con il potere
secondo me: essere riconosciuto per le proprie capacità dagli altri e lasciare esempi da imitare

lunedì 9 luglio 2007

LA BILANCIA.

Qualche volta mi viene da pensare che ci siamo conquistati una libertà al prezzo di un'altra.

La libertà di andare più veloci, per rimanere imbottigliati nel traffico per ore.
La libertà di calcolare numeri alla velocità di MFLOP (milioni di operazioni in virgola mobile al secondo), per dimenticare il procedimento della radice quadrata.
La libertà di telefonare a chiunque in qualsiasi momento per beccarci un tumore al cervello.
La libertà di poter spendere di più rimanendo schiavi del nostro stesso lavoro.
La libertà di vedere quello che vogliamo per non essere più ascoltati con attenzione.
La libertà di fare quello che vogliamo per non essere più capaci di sopportare nessuno.

Sono state forse le cose a renderci schiavi? No davvero!
È solo che siamo tutti fatti come una bilancia a due bracci, una stadèra. Metti un peso su un piatto e l'altro braccio si alza... Se vuoi sapere quanto hai messo sul piatto, devi mettere un peso sull'altro braccio.
Forse che stiamo mettendo tutto su un piatto solo, e così non sappiamo più darci 'na regolata, come si dice a Roma?

venerdì 6 luglio 2007

A TRE METRI.
Il nemico, a trecento metri di distanza, è un bersaglio. A tre metri è un uomo.

Leggendo un giornale, seduto ad una panchina, mi sono imbattuto in questa frase, con cui un regista concludeva un suo film.
Mi dice molto, questa frase. È la distanza, misurata in metri o in sentimenti - non importa - a fare degli altri degli amici o dei nemici.